POVERO PICCOLO

Povero piccolo, è un ragazzino questo arbitro. Ed ha tanto candore. È un bel ragazzino, avrà sì e no 18 anni. Sguardo sveglio, sorriso franco, fisico longilineo. Non so perché arbitri, invece di giocare. Magari non ne sarà capace, ma sbagliato pensare che arbitrare sia un ripiego per chi non è bravo a giocare, perché arbitrare è una passione, non ditelo a me: dei tanti mestieri mancati del calcio, non rimpiango di non essere arrivato come portiere (mancavano i centimetri), come allenatore (pure mi sarebbe piaciuto ma non ci ho mai pensato seriamente), come dirigente sportivo, come manager di calcio o come procuratore. Fare l’arbitro è la cosa che mi manca di più, e quando mio figlio era piccolo e l’arbitro lo mettevano le società l’ho fatto per anni, facendogli per giunta perdere un campionato per un mio errore. Ancora oggi nelle amichevoli prendo il fischietto e scendo in campo felice. L’ultima volta 15 giorni fa. Arbitrare ti dà sensazioni forti, ti fa sentire al centro del gioco, come nella realtà virtuale dei videogiochi, insegnare il rispetto delle regole ai ragazzi ti fa sentire bene, interagire con loro ti fa apprezzare lo sport, tra calciatori ed arbitro – se hai personalità – si innesca un meccanismo virtuoso di rispetto reciproco. Se un ragazzo va a terra corro premuroso a vedere cosa si è fatto, uno dei miei tanti figli in campo. Perché in campo sono tutti uguali, anche se le maglie pesano eccome, le pressioni ci sono eccome.
Arbitrare è difficile perché significa liberare la mente, andare in campo frigido pacatoque animo, senza pregiudizi: alla fine si fa il tifo in campo, lo ammetto, ma solo per se stessi. Il premio finale? Uscire con lo sguardo dritto, sentire le mani che si stringono che trasudano rispetto, passare tra la gente e sentire: bravo! Allora sì che ti senti soddisfatto, hai praticato “il rispetta lo sport” che vai predicando.
Ma il ragazzino ha sbagliato.
È entrato nel nostro spogliatoio dicendo poche parole con piglio sicuro: ragazzi, ho il cartellino facile. Aiutatemi a non tirarlo fuori, desidero solo questo. Buona partita. Mio figlio, che esordisce oggi nella nuova annata sotto età dividendosi tra due squadre, lo guarda sereno, sono quasi coetanei, e Lucio il mister ne approfitta per raccomandarsi: niente proteste.
Parole sagge. Ma vanificate. Ed anche con qualche ragione.
Perché protestiamo tutti, Lucio balla su se stesso come gli indiani attorno al fuoco, io urlando dagli spalti: assurdoooooo!!!
Perché il ragazzino, fino a quel momento perfetto (lo avevo appena finito di dire ad altri genitori), sbaglia e la fa grossa: rigore nettissimo che ci può dare il pareggio del 2-2 ( ma va sempre segnato), e lui fa continuare. Simone Simiola si invola verso il tap in del gol a portiere battuto dopo la respinta maldestra e viene trattenuto per la maglia che si allarga a dismisura (è pure di un rosa abbagliante, lo vedono tutti, ma proprio tutti, genitori avversari compresi che abbassano la testa), va a terra… e lui non fischia. In aggiunta, dopo pochi minuti ci butta fuori il nostro miglior uomo per ingiurie alla sua persona: peccato che la parolaccia (manco gravissima) era rivolta ad un avversario.
La partita finisce 2-1 per loro nonostante i nostri sono generosissimi e sfiorano più volte il pareggio pur in inferiorità numerica.
Finisce la gara, vado a prendere il reprobo espulso e lo porto dall’arbitro a scusarsi e chiarire che non ce l’aveva con lui.
L’arbitro capisce e si scusa a sua volta, pensava che fosse rivolta a lui la parolaccia (“che cazzo fai”, detta ad un avversario che aveva allontanato la palla per perdere tempo).
Il ragazzo esce, io con Lucio rimango e gli chiedo con serenità di padre, più per curiosità: senta, glielo posso chiedere? E glielo chiedo senza aspettare la risposta: come ha fatto a non dare il rigore? Perfino loro (gli avversari) dicono che era clamoroso. Lui mi guarda con sguardo dritto, un po’ vergognoso, ama spiegarsi: che le devo dire, ho visto l’attaccante andare in scivolata ed ho pensato che la trattenuta fosse ininfluente, ormai stava cadendo, non poteva fare di più (in effetti poi Simone l’ha quasi lisciato il pallone).
Io lo guardo comprensivo, ma mi cadono le braccia: ha veramente visto una cosa per un’altra ma lo capisco, bisogna andare in campo per capire cosa significa decidere in una frazione di secondo.
Dal mio sguardo bonario ma accompagnato da una smorfia all’angolo della bocca capisce che ha sbagliato e aggiunge: magari ho sbagliato, si giustifica con una scrollata di spalle che cela l’imbarazzo ed una pulizia negli occhi e per me è perdonato all’istante. Sa che ha inciso sul risultato, la colpa peggiore per un arbitro.
Insomma rigore negato e espulsione ingiusta, ci ha fatto perdere ma io l’avrei abbracciato. Mi limito a dirgli: non fa nulla, è bravo, non si preoccupi. Buona giornata.
Usciamo e Lucio mi guarda perplesso, ha perso una partita che non meritava di perdere e mi fa: ma hai sentito che ha detto?
“Lucio, son ragazzi! Pure i nostri sbagliano. Bravo, hai fatto un buon lavoro, buon debutto”. Poiché ci tiene al mio giudizio, mi stima, se ne va rincuorato, anche se so che stanotte non dormirà. Lui è un passionale, sarà per questo che gli vogliamo bene. Tra lui e Francesco, l’altro Mister ex portiere pure lui, Giorgino (…ino sti cavoli, visto che mo’ è un ragazzone alto) è in ottime mani: educatori prima che istruttori.
Vulimm’ vencere lo lascio a quelli che fischiano i giocatori del Napoli come animali. Per me abbiamo già vinto perché questo è sport. E caro ragazzino, torna in campo tranquillo: non è da questi particolari che si giudica un arbitro buono.

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