La partita della morte che ispirò “Fuga per la vittoria”

Gli eventi che raccontiamo sono avvenuti nel corso della Seconda Guerra mondiale. Non tutti sanno che "Fuga per la vittoria" fu ispirato dalla "Partita della morte"

Il racconto della “partita della morte” si interseca con la crudele storia del nazismo. Il 22 giugno 1941, la Dinamo Kiev doveva inaugurare il nuovo Stadio della Repubblica, l’odierno Olimpiiyskiy. Proprio quel giorno, le truppe del Terzo Reich invaserò l’Unione Sovietica.

A mezzanotte del settembre 1941, appena tre mesi dopo che l’esercito di Adolf Hitler aveva invaso l’Unione Sovietica, la capitale della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, Kiev, fu occupata dalla Wehrmacht. Ciò avvenne a seguito di un crudele e sanguinoso assedio durato 72 giorni.

Tuttavia, il governo nazista non voleva apparire brutale e tiranno agli occhi della popolazione locale.
Il Reich cercò, pertanto, di creare l’illusione di una vita prospera organizzando vari eventi culturali e inserendo lo sport nella vita quotidiana del cittadino comune. Molti compresero subito che in realtà si trattava di un’illusione.

Contemporaneamente all’invasione nazista, Joseph Kordik, un ceco della Moravia nato nell’Impero Austro-Ungarico che aveva combattuto la Prima Guerra Mondiale per gli Asburgo ed appassionato di sport, ricevette la nomina a direttore del panificio di Kiev in cui lavorava. Lì incontrò Nikolai Trusevich, un uomo che si guadagnava da vivere vendendo accendini al mercato e che si rivelò essere un ex portiere della Dinamo Kiev.

Trusevich aveva ricevuto un’offerta di lavoro in fabbrica da un suo conoscente. Poco tempo dopo accorsero alcuni suoi vecchi compagni di squadra, ai quali era stato dato lo stesso lavoro di panettiere. La rosa era composta da Nikolai Trusevich, Mikhail Sviridovskiy, Nikolai Korotkikh, Aleksey Klimenko, Fedor Tyutchev, Mikhail Putistin, Ivan Kuzmenko, Makar Goncharenko della Dinamo Kiev, e da Vladimir Balakin, Vasiliy Sukharev, Mikhail Melnik della Lokomotiv Kiev.

Con il calcio che era ormai solo un passatempo, decisero di fondare la prima squadra della fabbrica.
Dopo l’approvazione della loro mozione al consiglio comunale, Kiev fu la sede della fondazione di un nuovo club, lo Start.
Oltre ai suddetti ex professionisti, nella squadra figuravano un cuoco, una guardia e tre poliziotti. Si trattava di un mix di tutti i tipi e i partecipanti giocavano semplicemente per passione.

Trusevich trovò per se stesso una maglia nera con finiture rosse da utilizzare come divisa da portiere. Decise che quelli sarebbero stati i colori della sua squadra:

«Non abbiamo armi, ma possiamo combattere per la vittoria in campo. Indosseremo questo colore, il colore della nostra bandiera; i fascisti devono imparare che questo colore non si piegherà».

 

Un altro club, il Ruch, nacque in città quasi contemporaneamente allo Start.
Il suo fondatore, Georgi Shvetsov, consapevole dell’eccezionale qualità dei calciatori della Dinamo, li invitò ad unirsi alla sua squadra. Essi rifiutarono il suo invito, sapendo che Shvetsov era un complice nazista e quindi il suo club, composto da funzionari delle forze dell’ordine e lavoratori delle fabbriche, era un’organizzazione filonazista.

Le diverse ideologie di Start e Ruch, l’una dalla parte dei patrioti, l’altra da quella dei simpatizzanti nazisti, erano chiaramente evidenti. Per molti l’emergere dei due club rappresentò simbolicamente la lotta dell’Ucraina contro la Germania.

All’insorgere del governo nazista a Kiev, il calcio era destinato solo agli ariani e ai loro alleati. Tuttavia, i tedeschi erano così impressionati dal fatto che lo Start battesse nettamente ogni avversario che incontrava (famoso fu il 7-2 inflitto al Ruch) che mandarono la loro squadra migliore, considerata invincibile, a giocare contro i sovietici.

Il nome dato alla squadra degli Invincibili era Flakelf, acronimo delle parole tedesche Flak (Flugzeugabwehrkanone), che includeva il termine “cannone da contraerea” e il numero 11. La squadra comprendeva artiglieri antiaerei della Luftwaffe, piloti e ingegneri meccanici del campo d’aviazione di Kiev.
Il Flakelf aveva un supervisore d’eccezione: Hermann Göring. Quest’ultimo proibiva di mandare i giocatori in battaglia, essendo essi tra i calciatori più talentuosi della Germania.

Lo scontro tra lo Start e il Flakelf ebbe luogo il 6 agosto 1942. La gara si concluse con una vittoria netta degli ucraini.
I nazisti, naturalmente, non accettarono una sconfitta dai loro rivali ideologici “inferiori”. Dichiararono quindi il loro desiderio di una partita di ritorno per riscattarsi, soprattutto perché diverse nuove reclute rafforzarono la squadra.

 

Il secondo match ebbe luogo tre giorni dopo il primo. Prima della partita un arbitro tedesco fece il suo ingresso nello spogliatoio della Start, intimando ai giocatori: «Quando arriverete a metà campo, ricordatevi di gridare con tutto il fiato che avete in gola, Heil Hitler». A metà tempo il punteggio era di 3-1 per lo Start. All’intervallo un ufficiale delle SS entrò nello sgangherato spogliatoio dello Start e consegnò un messaggio agghiacciante.

«Siamo veramente impressionati dalla vostra abilità calcistica e abbiamo ammirato il vostro gioco del primo tempo – disse l’ufficiale, in un russo impeccabile –. Ora però dovete capire che non potete sperare di vincere. Prima di tornare in campo, prendetevi un minuto per pensare alle conseguenze».

Poi si spostò nello spogliatoio dei calciatori del Flakelf e disse: «Oggi dovete vincere e dimostrare la superiorità della razza ariana!».

 

In seguito, i giocatori di entrambe le compagini confermarono queste parole. La macchina della propaganda aveva avuto inizio.

Il Flakelf rimontò fino al 3-3 ma lo Start segnò altri due gol, vincendo 5-2. Secondo la leggenda, gli spettatori che affollavano le tribune cantavano slogan antinazisti in un’ondata di patriottismo e coraggio. Per loro non era una semplice una partita di calcio, ma una battaglia tra Ucraina e Germania, tra comunismo e fascismo.

La gente racconta storie di una folla ucraina che cantava a squarciagola nello spicchio di curva a loro riservato, sfidando i nazisti, affrontando gli occupanti e difendendo con fierezza la propria storia. Altri raccontano di una folla troppo spaventata per esprimere la propria opinione, per paura di essere arrestata, imprigionata o addirittura uccisa.
La verità sta probabilmente nel mezzo. 

La ricostruzione della vera storia della Partita della Morte è resa ancora più difficile dal fatto che l’opinione sovietica considerò i calciatori dei disertori i quali, invece di combattere in difesa di Stalingrado e Mosca, si erano intrattenuti con l’invasore per giocare partite di calcio.

I calciatori sopravvissuti alla guerra scamparono alla persecuzione del regime. Quest’ultimo preferì sfruttare scaltramente la vicenda a fini di propaganda, mitizzando, esagerando e distorcendo a proprio piacimento la storia di Trusevich e compagni.

I racconti di una folla tranquilla che operava in preda alla paura sono più verosimili, dato che dopo il fischio finale, i rivali scattarono una foto insieme (foto principale) e le due compagini uscirono dal campo insieme.

Eppure a fine partita Hončarenko raccontò:

«Ci trovammo in un silenzio cupo, tetro dello stadio vuoto, soli in mezzo al campo, capimmo di aver firmato con i nostri goal anche la nostra condanna a morte…».

«Ci attardavamo sul campo, come se stando lì fossimo al sicuro, salvi. La paura cominciò a impadronirsi di noi, avevamo fatto semplicemente quello che ritenevamo giusto, non per essere eroi, ma solo come ucraini che avevano una dignità ed un onore di uomini e di calciatori».

«Adesso eravamo spaventati per quello che ci aspettava… Avevamo di nuovo la stessa paura dell’inizio partita che avevamo scacciato con quelle urla di Hurà, talmente tanta paura da avere persino paura di mostrarla…».

Si diffuse la leggenda metropolitana secondo cui tutti i giocatori dello Start trovarono la morte dopo la fine della partita.
Da qui la partita prese il nome di “Partita della morte”. Quella sera, i giocatori dello Start si riunirono intorno al loro allenatore, Mikhail Putistin, e commemorarono il loro amico, Alexander Tkachenko, ucciso un giorno prima. Erano vivi e vegeti. Loro…

La squadra dello Start

 

Dopo aver assistito alla superiorità dei giocatori dello Start sui tedeschi, Friedrich Rogausch, lo Stadtkomissar di Kiev, proibì le partite tra la squadra di calcio sovietica e quella tedesca per evitare ulteriore imbarazzo al Terzo Reich.

 

Il 18 agosto 1942, improvvisamente, il regime arrestò tutti i calciatori dello Start per motivi ancora in gran parte non confermati. Alcuni credettero di essere stati traditi dall’agente dei servizi segreti tedeschi, Georgy Viatchkis.

Poco dopo, quelli che erano ex giocatori della Lokomotiv furono rilasciati, mentre gli altri rimasero sotto custodia, sospettati di aver collaborato con la NKVD, la polizia segreta dell’URSS. 

Non appena i nazisti seppero che uno dei giocatori, Nikolai Korotkykh, era effettivamente un agente della NKVD, lo torturarono e lo portarono alla morte, sopraggiunta per infarto.

Mykola Korotkykh fu il primo a morire. Gli altri calciatori vennero condotti al campo di lavoro di Syret. Il 20 febbraio 1943 Kuzmenko, Klimenko e Trusevych, il capitano della Start, vennero giustiziati.

Un testimone raccontò:

«Kuzmenko fu bastonato e poi giustiziato a terra; anche Klimenko fu bastonato e mentre era a terra fu freddato con un colpo di pistola dietro l’orecchio».

«Trusevich il gigante portiere e capitano, fu picchiato ferocemente, si rialzò da terra sanguinante e urlò in faccia ai suoi aguzzini: “il nostro Rosso Sport non morirà mai”; una guardia lo uccise con una raffica di mitra…morì con la sua maglia da portiere dello Start addosso».

 

Qualche tempo dopo, la verità sui calciatori della Start e sul partito partigiano che avevano messo in piedi con l’obiettivo di intromettersi nella società tedesca, venne definitivamente resa nota.
Dopo le rivelazioni che giunsero ai tedeschi, si ritrovarono isolati e a lavorare per i tedeschi come elettricisti e fabbricanti di stivali.

Più tardi i nazisti giustiziarono circa la metà degli operai del panificio, sempre in circostanze vaghe. Ci sono versioni contraddittorie sul perché si rivoltarono all’improvviso. Alcuni affermano che qualcuno di loro colpì accidentalmente il cane del sovrintendente del campo. Altri, invece, credono che sia stato a causa di operai che misero pezzi di un vetro rotto nella farina da cui facevano il pane per i tedeschi.

Qualunque fosse il vero motivo, i nazisti fecero uccidere molte persone. Tra le vittime c’erano tre ex stelle della Dinamo Kiev. Tutti loro, però, erano tenenti della NKVD.

Tuttavia, il procuratore capo, Jochen Kuhlmann, ha una convinzione personale di lunga data:

“La morte dei giocatori non ha alcun legame con il risultato della partita. Gli uomini sono stati uccisi per ordine del sovrintendente”.

Il giornale Izvestia fu il primo a chiamare quel match “La partita della Morte”, nel 1943. Da allora la partita acquisì lo status di leggenda, circondata da varie fantasie. Nel 1964 alcuni dei suoi vincitori ricevettero con le medaglie d’onore, mentre altri ricevettero le medaglie per i servizi bellici postumi di guerra. Nel 1971, all’esterno dello stadio della Dinamo Valeriy Lobanovskyi fu eretto un monumento raffiguarante quattro giocatori di calcio, in memoria delle gesta degli eroi.

Nel suo libro Calcio e potere Simon Kuiper fa una rivelazione clamorosa: «L’addetto stampa mi raccontò la storia della partita, e poi mi chiese di non scriverla: perché non era vera. La partita era un mito ideato dopo la guerra dal Partito Comunista locale. Senza dubbio una partita aveva avuto luogo, visto che un sopravvissuto [probabilmente Makar Goncharenko], di ottantasei anni, viveva a Kiev, ma aveva oculatamente scelto di starsene zitto».

Ad accrescere l’alone di mito sulla vicenda ci pensò Vladlen Putistin, figlio del calciatore della Start Mykhaylo Putistin e raccattapalle nel famoso match (aveva 8 anni all’epoca), che nel 2002 dichiarò: «Nessuno andò nello spogliatoio per minacciarli prima dell’incontro o nell’intervallo. Mio padre e tutti gli altri tornarono a casa per celebrare la vittoria».

Chi erano questi uomini coraggiosi che batterono tutti in campo? Oggi si ipotizza che fossero agenti speciali che raccoglievano informazioni segrete a Kiev per poi passarle ad una spia sovietica operante sotto il nome di Anton Mayer.

C’è persino una teoria che suggerisce che sia stato lo stesso Mayer ad informare Joseph Stalin dei piani di Hitler per attaccare Stalingrado. Avendo appreso questo, Stalin avrebbe avuto il tempo di preparare la città alla sua difesa.

Nel 1943 la battaglia di Stalingrado divenne decisiva per l’esito della seconda guerra mondiale. La sconfitta nazista vide Hitler porre fine al suo piano di conquista dell’URSS ed evidenziò le prime grandi crepe nella divisione tedesca.

Qualunque siano stati i fatti che caratterizzarono la famigerata “Partita della morte”, essa rimane una delle partite politicamente più accese, intriganti e feroci della storia del calcio. La “Partita della morte” ha anche rappresentato una grande presa di posizione del patriottismo ucraino e il colpo di grazia agli ideali nazisti del fascismo e del controllo ariano.

Vincenzo Di Maso

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