Arkan: pasticciere, ultrà e criminale paramilitare

Nel gennaio del 2000 moriva Zeljko Raznatovic, meglio conosciuto come "la Tigre" Arkan, il paramilitare serbo che ha diviso le opinioni dei calciatori balcanici

La storia di Zeljko Raznatovic, conosciuto come Arkan, ingloba più mondi. Arkan è una figura vicina alla politica e al calcio, che è passata da piccoli furti a crimini contro l’umanità. È stato il leader degli ultras della Stella Rossa di Belgrado, che ha guidato e trasformato nelle Tigri di Arkan, un gruppo paramilitare che ha compiuto massacri nella guerra dei Balcani. Dopo essersi arricchito durante la guerra, si è avventurato nel mondo del calcio con l’Obilic mentre veniva cercato dall’Interpol.

Zeljko Raznatovic era nato in Slovenia nel 1952. Per iniziare a capire il suo percorso nel mondo del crimine, bisogna riavvolgere il nastro: da ragazzo, Arkan era un giovane fuorviato, ribelle e criminale. Suo padre, un primo ufficiale dell’aviazione dell’esercito comunista di Tito – capo di stato della Jugoslavia dalla seconda guerra mondiale fino alla sua morte, avvenuta nel 1980 – chiese lavoro per suo figlio. A quel punto, il Ministero degli Interni jugoslavo trasformò Zeljko Raznatovic in un killer professionista.

Arkan, un soprannome che lo ha accompagnato per tutta la vita e la cui origine deriva da un passaporto falso fornito dai servizi segreti jugoslavi, era incaricato di eliminare i croati nazionalisti, considerati nemici dello Stato. È fuggito dal Belgio, dall’Olanda, dalla Germania e dalla Svizzera, ma anche da un tribunale svedese, con l’aiuto dei servizi segreti.

Arkan tornò in Jugoslavia stanco della vita di fuga in Occidente. Alla fine degli anni Ottanta, il legame tra la politica revisionista ultra-nazionalista di Milosevic, Chetnik e il nuovo lavoro di Raznatovic è stato sempre più stretto. Su richiesta dell’allora capo di stato Slobodan Milosevic, Arkan assunse l’incarico di gestire la sicurezza nello stadio della Stella Rossa. Dalla sicurezza passò a unificare i gruppi più radicali – tra cui il temuto e noto Delije – per controllare il fervore politico.

Arkan con un cucciolo di tigre

Arkan: “compagno” sugli spalti e macellaio dei Balcani

Zeljko Raznatovic, riconosciuto tra gli ultras come “il compagno”, era presente alle cosiddette prove della successiva guerra civile in Jugoslavia. Il 13 maggio 1990, allo stadio Maksimir, ebbe luogo una partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado. Quello che successe quel giorno non ebbe niente a che fare con il calcio giocato, ma fu solo una resa dei conti tra gli ultras croati (Bad Blue Boys) e serbi (Delije). La polizia, intervenuta negli incidenti, occupa pagine significative della storia di quel giorno. 

Il calcio per la causa nazionalista croata di Boban a un poliziotto… che si rivelò essere bosniaco.

 

Il potere e l’intimidazione imposti da Arkan resero un tutt’uno il club e gli ultras. I violenti ultras della Stella Rossa avevano una serie di onori e privilegi: i leader ricevevano denaro e potevano accedere agli uffici del club. Un aneddoto violento che esemplifica l’influenza di Arkan e la trasformazione forzata del club è dato dal “rimprovero” degli ultras alla squadra per “mancanza di impegno sul campo”. Questo è ciò che dichiararono alla stampa, nascondendo la realtà: gli ultrà fecero invece irruzione negli spogliatoi, picchiando tre calciatori con mazze e bastoni.

All’inizio degli anni Novanta, Arkan creò “le Tigri”, gli ultras dello stadio trasformati in un gruppo paramilitare grazie al campo di allenamento costruito dallo stesso Raznatovic a Erdut. Le Tigri di Arkan si esibirono nella guerra dei Balcani: prima in Croazia (1991), poi in Bosnia-Erzegovina (1992-1995) e in Kosovo (1999). Arkan si guadagnò la reputazione di “macellaio dei Balcani” per le tecniche utilizzate nel conflitto.

Nella prima offensiva, le Tigri provocarono la morte di 2000 musulmani a Sasina, mentre a Brcko 600 paramilitari parteciparono all’assassinio e/o alla scomparsa di 5.200 bosniaci nella primavera. I paramilitari rivestirono inoltre un ruolo chiave nella strage di Srebrenica del 1995. Ciò rappresentava un segno dell’importanza e della complessità dei diversi nazionalismi etnici, religiosi e nazionalistici dei Balcani e della crudeltà di un leader paramilitare. E dire che nel 1995, Zeljko Raznatovic figurava ufficialmente come… pasticciere, in quanto titolare di una pasticceria a Belgrado.

Le Tigri si finanziavano essenzialmente con la guerra. Arkan aveva un listino prezzi per “liberare” una città: tra mezzo milione e un milione di sterline, più tutto quello che potevano saccheggiare: banche, stazioni di polizia, etc… In guerra e in ogni città i paramilitari si rendevano protagonisti di torture, pestaggi, saccheggi, stupri ed estorsioni. E, naturalmente, della “pulizia etnica” che portò avanti nel conflitto, il tutto per la causa ultra-nazionalista serba.

Le sue azioni nei Balcani lo misero inevitabilmente sotto la lente di ingrandimento della Corte penale internazionale dell’Aia: Arkan fu ricercato e accusato di crimini di guerra. Non è mai stato condannato, in quanto il 15 gennaio 2000 trovò la morte in un agguato avvenuto in un caffè di Belgrado. A freddarlo fu il 23enne Dobrosav Gavrić, un ex poliziotto passato poi al servizio della mafia balcanica.

L’acquisto dell’Obilic e il tentato omicidio dell’ex presidente UEFA Johansson

Raznatovic divenne una delle persone più ricche della Serbia grazie alla guerra e alle sue attività parallele legate al tabacco, al petrolio, alla mafia o anche alla politica. Si rese protagonista di una scalata per l’acquisto della Stella Rossa, ma senza successo. Nel 1996 acquistò invece l’Obilic Belgrado, un club precedentemente sconosciuto ai più.

Nel giro di due anni passò dalla Seconda Divisione alla vittoria del campionato jugoslavo e alla partecipazione alla Champions League. L’Obilic aveva un modus operandi simile a quello del suo proprietario Arkan. Ostilità verso gli avversari, minacce di morte ai calciatori, agli arbitri e ai loro parenti. Da proprietario dell’Obilic, Arkan imponeva la formazione all’allenatore e portava a spasso un cucciolo di tigre come mascotte del club.

L’Obilic vinse il titolo serbo nella sua stagione di esordio (1997-98), battendo le due potenze locali, il Partizan e la Stella Rossa. Il campionato gli aprì le porte alle competizioni europee: un’arma a doppio taglio, in quanto l’Interpol cercava Arkan dall’estate del 1998. Il modesto club di Belgrado ospitò il Bayern Monaco in Champions League o l’Atletico in Coppa UEFA. Franz Beckenbauer non si recò a Belgrado a causa delle accuse contro Arkan. Al contrario, Jesus Gil nella città serba ci andò, affermando: “Non bisogna mischiare calcio e politica”.

Una fase del match tra Obilic e Bayern

 

I capi di accusa per Arkan erano naturalmente crimini di Guerra (l’incriminazione provenne dall’Aia) e pendeva su di lui il mandato di perquisizione dell’Interpol, che gli impediva di ricoprire la carica di presidente al di fuori del suo Paese nelle competizioni europee. Poi, nel 1998, la UEFA minacciò di non consentire all’Obilic di Raznatovic di competere nelle competizioni europee. Per proteggere il suo club, Arkan si dimise dalla presidenza, passando l’incarico a sua moglie, Ceca Velickovic, (star della musica in Serbia, ex sex symbol) come volto visibile della presidenza del club.

Ceca, moglie di Arkan, mentre assiste al match tra Bayern e Obilic da presidentessa (uno Speroni avrebbe avuto vita breve)

 

Come prevedibile, Raznatovic non prese bene questa “minaccia della UEFA”. Johansson, presidente della UEFA dal 1990 al 2007, ha confessato di essere a conoscenza della minaccia di omicidio, che Arkan decise comunque di non attuare.

«Ne ho sentivo parlare. Ero molto preoccupato della possibilità che accadesse. Se un pazzo vuole uccidere una persona, c’è poco da fare per proteggersi», confessò l’ex presidente UEFA nel gennaio 2008.

 

Il 15 gennaio 2000, 18 mesi dopo il piano di assassinio, Zeljko “Arkan” Raznatovic incontrò un destino che quanto mai gli si addisse, con la stessa violenza che ne aveva caratterizzato il percorso di vita. Nella sua breve avventura come proprietario dell’Obilic, si è guadagnato l’odio generale degli altri club e ha anche superato le linee rosse che delimitavano il potere di alcune mafie in termini di trasferimenti sul calciomercato. Si è reso protagonista di crimini contro l’umanità con “le Tigri”, quegli ultras guidati e trasformati in una forza paramilitare da Arkan che ha raso al suolo i Balcani.

 

Vincenzo Di Maso

 

Vincenzo Di Maso

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